fotografia – impronta culturale https://www.improntaculturale.it la cultura è fatta di cose che ci scambiamo Tue, 06 Nov 2012 17:27:57 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.3.14 corsi e opportunità per il tempo libero https://www.improntaculturale.it/2012/08/corsi-e-opportunita-per-il-tempo-libero-2/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=corsi-e-opportunita-per-il-tempo-libero-2 https://www.improntaculturale.it/2012/08/corsi-e-opportunita-per-il-tempo-libero-2/#comments Wed, 29 Aug 2012 14:22:59 +0000 http://www.improntaculturale.it/?p=2687 CORSO BASE E INTERMEDIO di INGLESE
GIOVEDI’ 15 LEZIONI DA 1,5 ORE. COSTO 90€ MINIMO 10 PARTECIPANTI
CORSO BASE E INTERMEDIO di SPAGNOLO
MERCOLEDI’ 15 LEZIONI DA 1,5 ORE. COSTO 90€ MINIMO 10 PARTECIPANTI
CORSO BASE E INTERMEDIO di TEDESCO
VENERDI’  15 LEZIONI DA 1,5 ORE. COSTO 90€ MINIMO 10 PARTECIPANTI
CORSO BASE E INTERMEDIO di CINESE
MARTEDI’ 15 LEZIONI DA 1,5 ORE. COSTO 90€ MINIMO 10 PARTECIPANTI
CORSO BASE di ITALIANO PER STRANIERI
LUNEDI’  – INCONTRI DA DUE ORE – GRATUITO MINIMO 5 PARTECIPANTI
CORSO DI INFORMATICA BASE SU SOFTWARE LIBERO
LUNEDI’ 6 LEZIONI DA 2 ORE. COSTO 50€ MINIMO 10 PARTECIPANTI
CORSO BASE DI FOTOGRAFIA
MARTEDI’  8 INCONTRI DA 1,5 ORE + MEZZA GIORNATA IN UN WEEK END

SEDE DEI CORSI:
– LINGUE
AULA STUDIO PRESSO BIBLIOTECA CIVICA “W.G. FABRIS”
via Roma,19. Corte Priorato Gandin. San Vito di Leguzzano
– INFORMATICA
AULA INFORMATICA PRESSO SCUOLA ELEMENTARE“A. MANZONI”
via A.Manzoni,13 San Vito di Leguzzano
FOTOGRAFIA
SALA CIVICA PRESSO BIBLIOTECA CIVICA “W.G. FABRIS”
via Roma,19. Corte Priorato Gandin. San Vito di Leguzzano

i corsi partiranno al raggiungimento del numero minimo di partecipanti
e inizieranno nel mese di ottobre.
ISCRIZIONI ENTRO IL 28 SETTEMBRE

PER L’ISCRIZIONE E PER INFORMAZIONI RIVOLGERSI  ALLA BIBLIOTECA CIVICA
“W. G. FABRIS”  TEL.0445-519735
associazionescacciapenseri@gmail.com  oppure biblioteca@comune.sanvitodileguzzano.vi.it

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Il cuore di tenebra dell’Africa – il ruolo della fotografia https://www.improntaculturale.it/2011/01/il-cuore-di-tenebra-dellafrica/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-cuore-di-tenebra-dellafrica https://www.improntaculturale.it/2011/01/il-cuore-di-tenebra-dellafrica/#comments Mon, 24 Jan 2011 21:56:27 +0000 http://www.improntaculturale.it/?p=600
Questa sera è con noi Leonardo Bonollo che ci condurrà “Nel cuore di tenebra dell’Africa” in un’affascinante viaggio fotografico dalle origini del colonialismo alle radici della globalizzazione. Nuova forma di colonialismo culturale e dell’immaginario collettivo.

Leonardo Bonollo
si è laureato in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Padova
ha compiuto il suo Dottorato di Ricerca in “Uomo e Ambiente” presso lo stesso ateneo
dove ha successivamente vinto una borsa di studio post dottorato.
Già vincitore del premio nazionale “In Memoria di Elio Migliorini” (nel ’91) con la sua tesi di laurea su “Comunicazione multimediale e didattica”, ha firmato come regista vari documentari; filmati di interesse ambientale e di comunicazione sociale.
Nella sua ricerca ha privilegiato lo studio delle tematiche relative al rapporto tra spazio, alterità e rappresentazione ed in particolare, ha indagato l’uso delle immagini fotografiche nei processi di conoscenza e di produzione del sapere sull’altrove.
Si inseriscono in questo progetto la partecipazione a convegni specialistici sulle tematiche postcoloniali e le collaborazioni, tuttora attive, con le Università di Padova, Bologna, Neuchatél (CH) e con la Royal Holloway di Egham (UK).
Come fotoreporter ha al suo attivo un’esperienza pluridecennale sul campo. Ha realizzato numerosi reportage in Africa, Cina, India, Tibet e in varie regioni dell’Estremo Oriente e in quelle montuose del Karakorum e dell’Himalaya.
Attualmente è titolare di un progetto di ricerca presso la Facoltà di Lettere e Scienze Umane dell’Università di Neuchâtel (sul ruolo della fotografia nella rappresentazione geografica dell’Impero coloniale attraverso le opere di Halford Mackinder(?)) (« Le rôle de la photographie dans la représentation géographique de l’Empire. Halford Mackinder et le Colonial Office Visual Instructions Committee »).
Negli ultimi otto anni è stato docente di Fotogiornalismo e di Geografia Culturale presso l’Università di Padova.


La serata, particolarmente interessante, ha visto Bonollo affrontare il  tema dei rapporti tra occidente e le culture altre, in particolare la cultura africana, di come nascono gli stereotipi, si creano i pregiudizi e si consolidano le tradizioni iconiche al punto che certe immagini possono attraversare interi secoli senza che la loro verità sia neanche minimamente scalfita. E in ultima analisi del nostro ambiguo rapporto con le immagini.

Riportiamo alcuni stralci tratti della registrazione della serata:

[…] Il nostro rapporto con l’altrove – il luogo dell’altro- è sempre stato mediato da rappresentazioni di varia natura – che producevano il loro effetto di realtà  tramite una qualche forma di immaginazione. Se pensiamo ad esempio alle rappresentazioni letterarie o narrative, dobbiamo constatare che fin dall’antichità – chi viaggiava raccontava e chi raccontava aveva già viaggiato, al punto che la stessa invenzione della letteratura deve in qualche modo essere posta in relazione al viaggio –all’esperienza dell’altrove. […]


La fotografia produce una verità assertiva: Ciò che si vede è ; ma non tutto ciò che esiste è visibile, e  non tutto ciò che si vede può essere fotografato. Non può esistere visione senza scopo e ogni sguardo porta con sé un giudizio e il vedere implica sempre un atto di volontà (Schopenhauer) Naturalizzare una visione, farla credere spontanea, frutto quasi di attività fisiologica, porta drammaticamente all’ideologia. Con l’innocenza delle immagini (guardare non costa niente) abbiamo realizzato un vero e proprio abominio sull’Altro , una delle peggiori colonizzazioni: quella del visibile. […]
Attraverso questi sguardi innocenti abbiamo riscritto la visione del mondo, abbiamo trasformato gli altri applicando filtri culturali, forme retoriche, codici espressivi, decidendo per gli altri “il come” e il “che cosa” li rappresenti.

La prima forma d’esproprio passa infatti attraverso un atto apparentemente inoffensivo: quello di rappresentare ciò che si vuole espropriare, di possedere  senza violare, di manipolare l’Altro senza toccarlo, di ricollocarlo in uno spazio completamente nuovo senza costringerlo al benché minimo spostamento.
(john Comaroff)

[…] Nell’immaginario europeo, l’Africa è sempre stata considerata come una realtà “selvaggia”, il regno incontrastato della natura (cuore di tenebra- continente nero- Tarzan Indiana Jones), semplicemente perché abitata da genti che, dal punto di vista europeo, sembravano non aver sviluppato una cultura della reificazione: un controllo esteso e sistematico sulla materialità dell’ambiente. Al contrario, le culture e le genti africane avevano organizzato un intero continente attraverso una “«pratica del simbolismo»”, cioè con forme di attuazione più legate al controllo semantico del territorio che a prassi materiali.

[…] La storia dei rapporti euro-africani è così drammaticamente segnata fin dagli inizi da incomprensioni che si sviluppano attorno alla mediazione territoriale. (a ciò che il territorio significa per queste due culture e alle differenti forme visive che l’organizzazione dello spazio prende) L’esito di questo incontro viene descritto da J. Conrad, in Un avamposto del progresso, come un totale smarrimento del senso da parte dei coloni bianchi:

“Vivevano come ciechi in una vasta stanza, consci soltanto di quel che veniva in contatto con loro (ma solo impercettibilmente), incapaci tuttavia di vedere l’aspetto generale delle cose. Il fiume, la foresta, tutta la grande terra palpitante di vita, erano un enorme vuoto. Perfino l’accecante luce del sole non svelava nulla d’intelligibile. Le cose apparivano e sparivano davanti ai loro occhi in modo sconnesso e senza scopo.”

[…] La territorialità africana si produce quindi nell’esperienza dei nuovi arrivati, i colonizzatori europei, mediante un effetto di assoluta invisibilità. Essa si presta a essere descritta soltanto con il ricorso alla metafora della tenebra, esattamente attraverso ciò che non si vede e che, pertanto, non può nemmeno essere descritto. In tale frangente l’Africa diventa quella realtà oscura ed indistinta dalla quale emergono rare macchie di luce dotate di senso: le stazioni commerciali, i fortilizi o, con le parole di Conrad, gli avamposti del progresso. Dunque, prima di diventare una figura retorica della crociata coloniale (il portare la luce della civiltà ) e un giudizio di valore etico (il buio morale), la tenebra assume esattamente questa funzione espressiva – il descrivere ciò che non poteva essere visto e compreso e quindi nemmeno tradotto. La traslazione da questo uso “visivo” della tenebra ad uno ideologico e morale segna, nella storia dell’espansionismo europeo, il passaggio dalla fase del mercantilismo a quella colonialismo (dalla logica del passaggio, garantire un traffico ed un approdo) a quella volta al controllo e allo sfruttamento diretto del territorio africano.

[…] Resta comunque un fatto assodato che il colonialismo non può tollerare l’invisibilità. Tutte le volte che ciò si è presentato – pensiamo ad esempio in Africa ai quartieri privati della città islamica, ai luoghi di culto, e a tutti quegli ambienti e a quelle pratiche sociali da cui l’occhio occidentale è stato bandito – il potere coloniale si è preso la sua cinica rivincita soddisfacendo per altre vie il proprio desiderio scopico. Come il poeta algerino M. Alloula ha infatti dimostrato, nella logica della rappresentazione coloniale, lo stesso velo delle donne mussulmane diventa il simbolo della cecità fotografica: “un leucoma (…) sull’occhio del fotografo” che deve in qualche modo essere rimosso. Al cuore della sua attuazione, il potere coloniale si impone quindi attraverso un assoluto diritto di visibilità confermando attraverso l’impulso voyeristico un’analogia costitutiva fra lo “svelare” del fotografo e lo “scoprire” dell’esploratore.

[…] Per venire all’oggi e al nostro rapporto iconico con l’alterità … Ricordiamoci sempre che se le foto assertive sono un medium freddo (ci incatenano come spettatori), dall’altro offrono comunque l’opportunità di un riconoscimento. Dobbiamo imparare a guardare queste immagini più che a vederle. Vedere è molto diverso dal guardare. La vista diventa sguardo solo quando si presta ad un chiasmo, ad un incrocio, ad uno stravolgimento. C’è sguardo quando è concesso che l’altro mi modifichi, e mi faccia conoscere come in uno specchio i recessi nascosti della mia identità. E’ evidente che non esiste simmetria fra il vedere e l’essere visti, mentre toccare è il medesimo gesto dell’essere toccati. E dunque se non vi è reversibilità in ciò che viene visto, dobbiamo lasciarci toccare da questi sguardi che le immagini ci restituiscono, aspettandoci di essere sorpresi da un ritorno imprevisto, da un’informazione inedita, da una reinvenzione della nostra meraviglia, insomma qualcosa che ci tocchi nel profondo e ci cambi. […]



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